11 maggio 2012


Il nuovo apprendistato professionale e di mestiere: un approfondimento sulla formazione

Il decreto legge 167 del 2011, entrato in vigore il 25 ottobre dello stesso anno, tenta di dare nuovo slancio ad un istituto, l’apprendistato, che ha subito alterne vicende e, comunque, ha ottenuto scarso risultato di applicazione nelle aziende.

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La novità più rilevante che interessa l’apprendistato professionalizzate (quello disciplinato dalla contrattazione collettiva) è relativa alla disciplina della formazione. Per anni, dall’emanazione della dlgs 276/2003, l’istituto legislativo ha visto il proprio caposaldo nelle 120 ore di formazione formale per ogni anno di durata dell’apprendistato. Ora il provvedimento legislativo in esame, affida alle Regioni il compito di modulare la formazione, trasversale o di base, e professionalizzante, lasciando alla contrattazione collettiva quello di definire la parte di formazione tecnico- professionale specialistica. Le Regioni, quindi, devono modulare l’offerta formativa relativa alla formazione tenendo conto dell’età dell’apprendista, del titolo di studio e dell’esperienza dello stesso. Anche le parti sociali hanno il compito di definire pacchetti formativi coerenti con il profilo professionale da conseguire, la qualificazione contrattuale e l’età dell’apprendista.
Il legislatore pone il vincolo di tre anni di durata massima per l’apprendistato e, quindi, anche per il relativo obbligo formativo, fatta eccezione per le figure dell’”… artigianato individuate dalla contrattazione collettiva di riferimento” che invece possono far durare la formazione e il periodo formativo ben 5 anni.
Su questa definizione, piuttosto chiara, si è incentrato però un interpello di Confcommercio e Confesercenti che, il giorno dopo l’entrata in vigore del provvedimento, hanno posto un quesito al Ministero del Lavoro chiedendo se quel riferimento alle figure dell’artigianato non potesse essere inteso, in senso più generale, a tutte le figure che contemplano attività “artigiana” anche previste in contratti collettivi diversi da quelli del CCNL Artigiani. La risposta del Ministero è stata positiva: le parti sociali, pertanto, anche all’interno del contratto del terziario e del turismo, possono individuare figure professionali “artigiane” la cui durata dell’apprendistato sia di 5 anni anziché 3.
Importantissimo, pertanto, il ruolo di parti sociali, organizzazioni sindacali e associazioni datoriali per la definizione di tutta la materia dell’apprendistato professionalizzante, ribattezzato anche “contratto di mestiere”, che hanno 6 mesi di tempo per sviluppare la disciplina applicativa del provvedimento in esame. Sarà pertanto necessario armonizzare i profili professionali previsti dai contratti collettivi con la durata dell’apprendistato e con l’obbligo formativo conseguente. Peraltro, alcuni contratti collettivi come quello del terziario, avevano già prodotto uno sforzo in tal senso. La disciplina contrattuale di questo settore, infatti, aveva previsto una modulazione dell’obbligo formativo in base alla qualifica professionale da conseguire, bloccando a 80 ore complessive, per il quarto, terzo e secondo livello, la formazione trasversale di base (5° e 6° avevano solo 60 ore). Per il quarto livello del settore terziario le parti sociali avevano diminuito anche l’obbligo formativo da 120 ore annue a 90 ore. Ricordiamo però che le aziende potevano accedere a questo canale di formazione in alternativa a quello tradizionale (120 ore annue), solo se rinunciavano ai finanziamenti pubblici per la formazione e se dichiaravano, pertanto, di avere capacità formativa interna.
Il nuovo testo legislativo, invece, prefigura un modello misto (formazione trasversale resa dalle Regioni e formazione professionalizzante dalle aziende) che consente quindi una commistione tra le due tipologie, consentendo di fatto al datore di lavoro di utilizzare anche fondi pubblici per la formazione a seconda del pacchetto formativo che verrà messo a punto da Regioni e parti sociali.
Ora, nel caso del CCNL terziario, lo sforzo che le parti devono produrre, è quello di ridefinire l’obbligo formativo relativo alla sfera della cosiddetta “formazione professionalizzante”, tenendo conto anche dell’età dell’apprendista, ma soprattutto della qualifica professionale da conseguire: se, infatti, l’abbassamento dell’obbligo formativo e della durata del contratto ha spinto Confcommercio e Confesercenti a proporre la modifica sopra commentata, è anche vero che un’apprendistato di 4 anni, per un addetto alle vendite, era (è, per il periodo transitorio) davvero troppo.
Importante novità del testo legislativo in esame, è la possibilità di definire contratti di apprendistato “a termine” per i dipendenti di quelle realtà che gestiscono attività in cicli stagionali. Bisogna comunque ricordare che alcune Circolari Ministeriali, e gli stessi CCNL del Turismo, avevano aperto la possibilità di instaurare contratti di apprendistato rispettando la proporzione tra obbligo formativo (le vecchie 120 ore annue), e l’effettiva prestazione lavorativa dell’apprendista, aprendo, di fatto, la pista dell’attivazione di contratti di apprendistato a termine.
Questa dell’attività stagionale è, peraltro, l’unica eccezione ad un principio di natura più generale, sancito dal presente provvedimento legislativo, che definisce il contratto di apprendistato come un contratto a tempo “indeterminato”.
Il principio viene peraltro rafforzato da un concetto, piuttosto discutibile, e cioè quello dell’impossibilità del recesso dal contratto di apprendistato anche da parte dell’apprendista durante il periodo formativo. La disciplina generale, descritta all’articolo 2 del dlgs 167/2011, alla lettera h) ricorda il ”…divieto per le parti di recedere dal contratto durante il periodo di formazione in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo”. Questa novità legislativa, quindi, ribadisce l’obbligo di “stare nel rapporto di lavoro” anche per l’apprendista che non può quindi, se non in presenza di una giusta causa e giustificato motivo, recedere dal contratto. L’introduzione di questa novità si è resa necessaria, secondo il legislatore, per l’alto turn over degli apprendisti nelle aziende, dovuto alla facoltà esercitata dall’apprendista di recedere dal rapporto: sostanzialmente passa il concetto implicito di un datore di lavoro potenzialmente danneggiato dall’apprendista che, attraverso le sue dimissioni, mette in discussione un investimento formativo costoso e importante per le aziende.
Altro elemento importante introdotto dal testo legislativo in esame, è la possibilità di finanziare l’attività formativa attraverso i fondi paritetici interprofessionali. Già la legge 138 del 2011, meglio conosciuta come manovra d’estate (e famosa per l’introduzione del famigerato art. 8), all’articolo 10 aveva previsto la possibilità di formare gli apprendisti e finanziare i contratti a progetto con le risorse dei fondi interprofessionali.
Prima ancora, la legge 2 del 2009, all’articolo 19 comma 7, aveva previsto la possibilità di inserire tra i beneficiari del finanziamento delle attività formative, oltre agli apprendisti e i contratti a progetto, anche i lavoratori in mobilità, in cassa integrazione con contratto di solidarietà, derogando al principio generale che possono essere destinatari della formazione solo i lavoratori che versano il cosiddetto “contributo dello 0,30%” ai fondi interprofessionali.
Il più grande fondo interprofessionale di riferimento per il settore del commercio, fondo For.Te, nel suo avviso 02/10, fatto precedere da una delibera del consiglio di amministrazione, ha introdotto la possibilità di inserire in formazione anche apprendisti e contratti a progetto.
In verità era sempre rimasto il dubbio sulla possibilità di finanziare, attraverso i fondi interprofessionali, la formazione cosiddetta “obbligatoria” (le 120 ore di formazione formale) prevista dal piano formativo o quella ulteriore che dovesse rendersi necessaria. Il fondo For.Te, in questo caso, consentiva solo la formazione “non obbligatoria” anche se il recente provvedimento impegnerà i consigli di amministrazione dei fondi a rivedere le posizioni alla luce del chiaro riferimento normativo.
Il decreto legislativo 167/2011, infatti, cita la possibilità di finanziare attività formativa degli apprendisti attraverso i fondi paritetici interprofessionali e, dal tenore dell’articolo, sembrerebbe destinare queste risorse alla formazione trasversale e di base, lì dove si afferma che la possibilità di finanziare i corsi viene gestita “in concorso con le regioni”. Sarà importante, quindi, sapere come i diversi fondi interprofessionali e le Regioni si orienteranno per definire gli eventuali accordi di realizzazione e , soprattutto, cosa le parti sociali decideranno rispetto alla formazione tecnico professionali e specialistiche.

Tra le novità del provvedimento in esame, si annovera anche la possibilità di compilare il piano formativo individuale (ma anche di formalizzare la lettera di assunzione) entro 30 giorni dalla stipulazione del contratto. Ricordiamo, in questo caso, il prezioso contributo degli Enti Bilaterali ai quali viene demandata la possibilità di validare i piani formativi, strumento fondamentale di governo della formazione dell’apprendista. Gli Enti Bilaterali, peraltro, potrebbero essere anche incaricati dalle parti sociali alla definizione delle modalità di erogazione della formazione aziendale nel rispetto degli standard regionali.
Nelle disposizioni finali, invece, viene ribadita l’importanza dell’attività formativa; se il datore di lavoro è ritenuto unico responsabile della mancata formazione, a livelli così gravi da pregiudicare il progetto formativo, questi è tenuto a “…a versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento”. All’Ispettorato del lavoro viene attribuito il compito di intervenire con il dispositivo della diffida accertativa e di ordinare al datore di lavoro di adempiere alle eventuali carenze formative riscontrate rispetto al piano formativo (se il contratto di apprendistato è ancora in essere).

Per ultimo ricordiamo che, soprattutto per l’apprendistato professionalizzante o di mestiere, è centrale il ruolo delle parti sociali. Le organizzazioni sindacali, comparativamente più rappresentative a livello nazionale, hanno il compito di definire la disciplina del contratto di apprendistato. L’art. 7, comma 7 del provvedimento in esame, ricorda che l’evoluzione alla nuova disciplina deve essere compiuta nel periodo di 6 mesi durante il quale rimane ferma, in via transitoria, la regolamentazione contrattuale vigente

Le altre novità dell’apprendistato in pillole.
- Saranno possibili quattro tipologie contrattuali: apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere, apprendistato di alta formazione e apprendistato di ricerca.

- Verrà introdotta la possibilità di assumere i lavoratori in mobilità con il contratto di apprendistato (comma 4 art. 7). Per i datori che assumono questi lavoratori valgono le agevolazioni contributive previste per chi assume i lavoratori dalle liste di mobilità (50% dell’indennità che sarebbe spettata al lavoratore se il rapporto di lavoro viene mantenuto per più di 12 mesi) al quale si somma il regime contributivo agevolato degli apprendisti.

- Possibilità di allungare il periodo di apprendistato in caso di eventi quali malattia, infortunio, o altre cause di sospensione involontaria che durino più di trenta giorni, secondo quanto previsto dai contratti collettivi (lettera h, art. 2).

- Verrà introdotta la possibilità di stipulare contratti di apprendistato anche per la pubblica amministrazione.

- Chiarito che agli apprendisti vengono applicate le norme in materia di assistenza e previdenza con riferimento a assicurazioni contro le malattie, assicurazione contro gli infortuni, maternità, assegni familiari, assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia.

- Introdotta la distinzione tra apprendistato in alta formazione e ricerca, quest’ultimo teso a formare ricercatori in ambito universitario (art. 5.)

- Fermo restando i contratti già in essere, con l’entrata in vigore del dlgs 167/2011 sono abrogati l’articolo 16 della legge 24 giugno 1997, n. 196, la legge 19 gennaio 1955, n. 25, gli articoli da 47 a 53 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

- I datori di lavoro che hanno più sedi in più regioni sul territorio nazionale, possono fare riferimento al percorso formativo della regione dove è ubicata la sede legale (comma 10, art,.7).

- Ministero del Lavoro, Ministero dell’Istruzione, nel rispetto delle intese tra parti sociali, Regioni e governo, hanno 12 mesi di tempo per implementare un modello di verifica degli apprendimenti della formazione dell’apprendista. Il datore di lavoro ha l’onere di registrare nel libretto formativo la formazione dell’apprendista e la qualifica professionale. Le competenze dell’apprendista devono essere potranno essere certificate secondo le modalità previste dalle regioni sulla base del repertorio delle professioni (non ancora definito).